Ciro e Maria Paola, una storia semplice

In fondo è una storia semplice: un giovane ragazzo ama una giovane ragazza, una giovane ragazza ama un giovane ragazzo. Ma qualcosa non andava bene in questa storia semplice, e sono intervenute diverse svolte narrative a renderla complicata. E prima ancora delle svolte narrative, è stato già lo sfondo, il background della narrazione a complicare le cose. A cominciare da un passato non proprio di ricchezza, di lui e di lei, che sicuramente ha reso tutto più difficile: figlio di una donna sola, che possiede una bancarella, lui; vuol dire: figlio di una lavoratrice, senza garanzie, che si è barcamenata come tante donne tra accompagnamenti a scuola, colloqui, pediatra, “Non posso venire, dove lascio mio figlio?”, giornate di lavoro saltate per forza; ma ora guardalo, Ciro, è innamorato, e lei è una brava ragazza, per bene, e io sono felice di aver faticato così tanto per lui.

E poi Parco Verde, che sta a Caivano come Scampia sta a Napoli, anche se Parco Verde non è un brand, ma è uno di quei tantissimi (tantissimi) anonimi esperimenti di urbanistica popolare degli anni ‘60, speculazione edilizia unita a ubriacatura da boom economico; uno di quei progetti che sembrano essere stati pensati per generare e riprodurre il disagio, ma che venivano venduti come l’interpretazione italiana di Le Corbusier. Parco Verde è dove sono cresciuti lui e lei. La cronaca l’ha portato alla ribalta in più occasioni per fatti di abusi sessuali su minori. Vi prego, ricostruiteli tutti, i quartieri così.

E poi ci sono i familiari di lei, invadenti, possessivi, territoriali, tanto da sentirsi liberi di vietare l’amore di Maria Paola. E in particolare il fratello di lei, un trentenne anche lui ingombrante come non mai, che di fronte a una sorella ormai cresciuta, che ha espresso liberamente il proprio amore e il proprio piacere è impazzito, si è contorto, notte e giorno, tra morse di gelosia, tra congetture, e interpretazioni: «Era stata infettata», dirà dopo averla uccisa; lui il fuoco sacro che voleva purificarla. Quanta immaginazione ha speso Antonio, per figurarsi sua sorella fare sesso, fare l’amore, con un uomo che a lui non piaceva, perché non era un vero uomo, no, non era come lui: si è scelta uno aperto di mente, con dei valori, uno che sta anni luce avanti a lui, e lui questo lo sente, lo sa; lo sa che non ci andrà mai allo stadio insieme, che difficilmente si potrà concedere quelle battute omofobiche sui calciatori che sbagliano, sa che Ciro non riderà alle barzellette sulle donne che sono inferiori e sugli uomini che sono povere vittime.

Poi arriva il mantenersi da soli, che per due giovani ventenni non è affatto facile, ma diventa una scelta quasi obbligata, sia per il desiderio di vivere il proprio amore, sia per quello di stare lontani da quell’aura di ossessione che irradia dalla famiglia di lei e che ormai li opprime. Si trasferiscono in un paese lì vicino, Acerra, ma poco dopo arrivano le minacce, a Ciro, l’invito a lasciar andare Maria Paola, se no brucio la bancarella di tua madre.

Cosa c’è che non va in questa storia? La disuguaglianza cui è soggetta una famiglia monogenitoriale? La difficoltà del vivere in alcuni quartieri italiani? Dell’avere vent’anni nel 2020? No, quello che non va è solo una cosa: ciò che sta nelle mutande di Ciro. Letteralmente. C’è qualcosa che ci sorprende e ci interessa sotto quei tessuti, e quindi ne parliamo, commentiamo, immaginiamo, ci interroghiamo: “Come faranno?”, “Ci sono delle foto?”, “Ma è sano?”, “Che schifo!”. Rischiamo di diventare tutti Antonio Gaglione, di fronte a quel mistero, e quindi in fondo lo potremmo addirittura capire, se ha fatto quello che ha fatto. Fatto cosa?

Nella notte tra l’11 e il 12 settembre, con gli occhi ardenti, Antonio è salito in macchina e ha speronato lo scooter su cui Ciro e Maria Paola correvano. Più e più volte. Vedere vacillare quel motorino precario lo rinforzava, probabilmente le urla le ha sentite, se le cose sono andate così. Scariche di adrenalina, di dopamina, e intanto la sorella e Ciro cadono, e lei vede come ultima cosa un tubo venirle incontro, velocissimo e potentissimo. Ciro invece è a terra, e Antonio lo raggiunge per malmenarlo: così funziona tra maschi veri.

Tutto questo complica molto la storia. La storia d’amore di Ciro è finito; l’amore continua. La storia d’amore di un ragazzo ventiduenne, stroncata. La vita di una ventenne, pure. Non serviva altro che silenzio e giustizia, dopo tutto questo. E invece è arrivata una marmaglia di giornalisti a complicare ulteriormente le cose. Ansa, che ritiene che la caratteristica rilevante di tutta la vicenda sia, di nuovo, ciò che Ciro nascondeva dietro il tessuto: si sa che l’identità di una persona sta lì, vero? E fanno seguito Il Corriere della Sera, Repubblica, Il Messaggero, SkyTG24, Il Fatto Quotidiano, tutti interessati a definire ciò che in realtà erano Ciro e Maria Paola, svelare il suo nome anagrafico, facendo da cassa di risonanza alle morbose curiosità di un popolo che, anche questa volta, non ha saputo guardare la realtà, cioè che un trentenne maschilista e transfobico è accusato di aver spezzato un amore e una vita perché voleva dare una lezione.

Ora Ciro è in ospedale, si misura con la propria capacità di ripresa, con il proprio lutto orribile, e fuori sa che c’è il Giudizio Sociale ad attenderlo con sentenze di pietra. Ha già cominciato il parroco di Caivano, don Maurizio Patriciello, che ha difeso Antonio, che ha fatto solo ciò che dovrebbe fare un fratello disperato: cercare di riportare sulla retta via la sorella, pecorella smarrita, rapita da un amore fasullo e incapace di capire dove sta il bene e dove sta il male. E poi un consigliere comunale di Potenza, che si sente in obbligo, in quanto figura pubblica, di esprimere un parere, affermando che “L’omosessualità è contro natura”. Avvocato, di Forza Italia, esperto – evidentemente – di biologia e di psicologia, come tutti i normali, i giusti, che non sanno mai chi sono loro, ma sicuramente e inequivocabilmente sanno chi sei tu.

Le storie delle donne e degli uomini trans, in fondo, potrebbero essere semplici. A complicarle, ci siamo noi.

Armando Toscano